1000 anni di storia

PIEVEPELAGO: 1000 ANNI DI STORIA  (tratto da 'Guida Turistica Provinciale' di G.Silingardi, C.Santagata e F.Minelli)

 Il termine Pelago indica il bacino dell’alto Scoltenna, un tempo probabilmente occupato da un lago formato da una frana che ostruì il corso del torrente Scoltenna.

Già in tempi antichi il territorio era abitato da coloni e da pastori che vivevano in comunità sparse. Roccapelago e San Michele Pelago, in alto, in posizioni dominanti, furono tra i primi insediamenti umani di questa zona.

Ben presto, tra il III e IV secolo, vi si diffuse il cristianesimo arrivato non dalla Toscana, come numerosi scrittori affermano, ma da Modena e dalla strada che saliva dalla valle dello Scoltenna, come i moderni studi di mons. Giuseppe Pistoni hanno dimostrato. Un documento, in verità oggi contestato, ci parla di una chiesa plebana di Santa Maria del Pelago esistente fin dal 753 e di una donazione di Astolfo re longobardo all’abbazia di Nonantola.

La presenza dei Longobardi in quest’area è confermata da alcuni toponimi, San Michele Pelago, con chiesa dedicata al santo guerriero protettore della nazione longobarda, e Perticara che indica un cimitero. Altri toponimi del Frignano, Castiglione, Verucole, Cluza, Vaglie, ricordano invece fortificazioni bizantine.

Siamo ancora nel campo delle congetture, nelle nebbie della storia. I documenti tacciono.

La prima menzione sicura è dell’anno 1038 e parla di una “Plebs Pelagi”, Pieve del Pelago. La località era già importante. Qui giungeva dalla valle dello Scoltenna e da Riolunato una strada che saliva da Modena. Da qui si dipartivano tre strade che valicavano il crinale d’Appennino e conducevano in Toscana; la prima per Tagliole e Foce e Giovo portava a Lucca; la seconda per Roccapelago e Barga ancora a Lucca; la terza per San Michele e Fiumalbo a Pistoia.

Erano strade sparse di ospizi per i viandanti, i pellegrini, i malati, come quelli di San Leonardo del Perticara (oggi S.annapelago) e di San Bartolomeo del Saltello, antichi l’uno e l’altro.

In una posizione così, in un nodo stradale di primaria importanza, sorse la Pieve del Pelago, un vecchio borgo di casupole di artigiani, di coloni, di pastori, raccolte intorno alla chiesa dedicata a Santa Maria. La chiesa era battesimale e matrice. Aveva un capitolo di canonici e una scuola per fanciulli. Era un centro di diffusione della fede cristiana e insieme della cultura. Nella Pieve  s’identificavano anche il centro dell’amministrazione civile, la comunità di valle e del distretto giudiziario. E c’era il mercato. E i contatti con la Toscana, attraverso le tre strade, erano frequenti.

La comunità della valle del pelago comprendeva ben undici piccole comunità rurali: Pievepelago, Fiumalbo, Roccapelago, Serpiano, Modino, Sant’Andreapelago, San Michele Pelago, Riolunato, Brocco, Flamignatico e Barigazzo. Erano undici borghi con i tuguri raccolti intorno ad un fortilizio ed a una chiesa, undici comunità la cui vita era regolamentata da statuti. Ognuna aveva la sua assemblea generale, i suoi podestà, i suoi sindaci, i suoi massari.

Un’altra data certa della storia di Pievepelago è il 1197. Era ancora viva l’esperienza vissuta durante l’invasione delle truppe tedesche del Barbarossa, quando l’unità dei comuni e delle malizie comunali era stata l’unica speranza di salvezza. Era in atto un movimento d’alleanze, se non proprio di unificazione tra i comuni del Modenese. Le truppe del Barbarossa se ne erano andate, ma a Modena già si pensava alla guerra a Reggio e a Bologna.

Tra l’agosto e il settembre del 1197 gli uomini della Piave del Pelago e di molti altri luoghi del Frignano giurarono fedeltà al comune di Modena. L’elenco dei firmatari è lunghissimo. Ci sono dentro gli uomini degli undici comuni di valle.

Questi giuramenti di dedizione  a Modena vennero più volte ripetuti, nel 1205, nel 1240, nel 1276. E’ da notare che in questo tempo, e ancora per tutto il secolo XIV, la comunità del Pelago esisteva, teneva le assemblee generali, eleggeva i propri rappresentanti.

Questo Trecento fu nel Pelago e in tutto il Frignano un secolo di guerre, di guerricciole, di scaramucce. Anima della ribellione agli Estensi furono i Montegarullo, di parte guelfa, forse discendenti dai Gualandelli, antichi feudatari del Frignano. I Montegarullo fecero del castello di Roccapelago, posto in alto, in posizione che pareva inespugnabile, il centro della loro azione.

Il primo fu Nereo da Montegarullo, primo capo dei guelfi frignanesi, poi al servizio del comune di Firenze, secondo l’interesse della casata. Ebbe dieci figli e fra questi Cortesia, il più noto, guelfo, alleato ai Visconti, ribelle egli pure agli Estensi.

Figlio di cortesia fu il celebre Obizzo da Montegarullo, capofazione del partito guelfo del Frignano, alleato dei Bolognesi, ribelle agli Estensi e nemico dei Lucchesi.

Nel 1393 i Lucchesi assediarono Roccapelago e qui impiegarono per la prima volta le bombarde insieme ai trabucchi e ai mangani; dopo cinque mesi di assedio e di bombardamento la forte rocca fu occupata. Tre anni dopo Obizzo, con l’aiuto di Lancillotto Montecuccoli e dei suoi seguaci riprese Roccapelago, mentre la guerra investiva tutti i fortilizi della zona del Pelago e fino a Serpiano e Barigazzo.

Nel 1406 il marchese Nicolò d’Este mandò da Ferrara un forte esercito guidato da uno dei suoi migliori condottieri, Uguccione Contrari, per domare la ribellione. Roccapelago fu ancora assediata e occupata. La ribellione dei Montegarullo fu stroncata, il Pelago passò a far parte della provincia di Sestola, sotto la signoria degli Estensi, i liberi comuni della valle sparirono.

Nel secolo XV iniziarono le contese fra i pastori pievaroli e barghigiani per il possesso e l’uso dei pascoli dei monti Rondinaio e Giovo che si sarebbero protratte per tutto il secolo successivo e avrebbero visto furti di pecore, risse, bastonate, ferimenti, uccisioni. Ne servì il lodo di Filiberto di Savoia del 1568 per rappacificare gli animi. La contesa tra Pievepelago e Bara sarebbe rimasta aperta a lungo, addirittura sino ai giorni nostri.

Nel 1583 i Lucchesi invasero la Garfagnana e vennero in guerra con gli Estensi. Il Pelago diventò terra di frontiera. Numerosi soldati in armi vi vennero concentrati. Soldati pievaroli parteciparono all’assedio di Lupinaia.

La guerra portò la miseria e la miseria, l’emigrazione. Furono anni di carestia, il raccolto delle castagne spesso fu scarso, si arrivò alla fame, molti dovettero andarsene. Nell’ inverno 1590-1591 ben 1826 frignanesi emigrarono in Toscana.

Alla carestia del 1856 risale il Mulino “di Domma”, tutt’oggi funzionante, situato di fronte alla chiesa parrocchiale di Pievepelago.

La guerra contro Lucca continuava. Nell’estate del 1613 Tagliole fu occupata dai militi lucchesi, le case e le capanne saccheggiate e incendiate. Pievaroli e fiumalbini, comandati dal capitano Silvio Ronchi, mossero a battaglia e respinsero i Lucchesi oltre il crinale d’Appennino, li inseguirono fino a Montefegatesi, dove compirono opera di vendetta incendiando il borgo e razziando il bestiame.

Intanto altri militi comandati da Domenico Micheli, alfiere di Pievepelago espugnarono un fortino sul Monte Rondinaio, scesero a Coreglia degli Antelminelli e s’ingegnarono a incendiare le case. I soldati restarono di guardia sui passi del crinale fino all’autunno, poi, come Dio volle, la guerra terminò e tutto tornò come prima. Il nemico era la fame. L’unica strada di salvezza l’emigrazione in Toscana, che si effettuava a famiglie intere.

Nel 1630 la peste arrivò nel Frignano. Il Pelago ne restò immune. I passi furono chiusi; la transumanza proibita, numerose pecore dovettero essere uccise, diverse famiglie conobbero la rovina. Poi nel 1631, quando il peggio sembrava passato, proprio alcuni pastori rientrati dalla Toscana portarono il contagio nel Pelago dove si registrarono diversi morti.

La guerra di Castro del 1643 non toccò il Pelago. Le truppe papaline ed estensi passarono al largo, nelle valli del Panaro e del Leo, dove arsero incendi e furono perpetrati saccheggi. Nel Pelago giunse l’ordine del Governatore di Sestola di inviare centosessanta fanti e trentacinque cavalli da soma; in seguito furono richiesti numerosi uomini per il lavoro obbligatorio; più tardi arrivarono imposizioni di tasse per far fronte alle spese di guerra. E’ inutile aggiungere che i provvedimenti suscitarono lagnanze a non finire. Era una vecchia storia. Le guerre le facevano i potenti e la povera gente pagava.

Nel 1567 la paura si rinnovò. C’era una delle tante guerre tra Francia e Spagna, i soldati francesi sbarcarono a Livorno, attraversarono la Garfagnana e salirono a San Pellegrino, si capisce saccheggiando le povere case che incontrarono. Nel Pelago si temeva il peggio. Invece le truppe scesero verso Modena per la valle del Dragone, dove devastarono altri abitati.

Una guerra seguiva l’altra e bisognò arrivare al 1748 e al trattato di Aquisgrana per avere un lungo periodo di pace, che sarebbe durato quasi mezzo secolo.

In questo periodo nel Frignano si costruirono o si riattarono strade. Il principe Ercole d’Este aveva sposato Maria Teresa Cybo, l’ultima erede del ducato di Massa. Il matrimonio avrebbe consentito l’aggregazione dei ducati di Massa a quello di Modena che avrebbe avuto così un porto sul mare Tirreno. Prima premura del duca Francesco III fu costruire una strada che unisse Modena a Massa.

Nel 1738 incaricò l’abate Domenico Vandelli della costruzione della strada che fu terminata nel 1752 per Torre Maina, Pavullo, Lama, la strada saliva alla Fabbrica di Sant’Andreapelago, al Sasso Tignoso ed a San Pellegrino da dove scendeva nel versante toscano. Si manteneva sempre in alto, sul crinale e questo l’esponeva alle nevicate, alle intemperie, alle terribili bufere invernali, in pratica era intransitabile per diversi mesi all’anno.

Francesco III preferì abbandonarla e nel 1766 incaricò il maggiore Pietro Giardini di costruire la nuova strada che da lui prese il nome e che per Pavullo, Lama questa volta saliva a Barigazzo, scendeva a Pievepelago e attraversava il crinale d’ Appennino all’Abetone. Soldati, carcerati, contadini, uomini, donne lavorarono alacremente e nel 1777 l’opera, che era costata 6 milioni e 412 mila lire modenesi, era terminata.

Per Pievepelago inizia un nuovo periodo di storia. Il paese  veniva a trovarsi su una importante strada di transito. Infatti numerosi furono i personaggi illustri che vi passarono. Nel 1775, quando la strada non era ancora terminata, l’imperatore Giuseppe II. Nel 1796 il generale Napoleone Bonaparte. Nel 1804 il papa Pio VII che si recava a Parigi per l’incoronazione di Napoleone imperatore. Nel 1815 lo stesso Pontefice liberato dall’esilio di Savona e avviato verso Roma. Vi passarono anche intere divisioni di soldati francesi che entrarono nelle case e nelle osterie a rubare a man salva quanto si poteva rubare, arrivarono a smontare dai cardini finestre e porte per bruciarle in allegri falò, tanto per scaldarsi nelle rigide giornate d’inverno.

Fu calcolato che nel giro di pochi anni più di 250 mila soldati con carriaggi, munizioni, viveri, cavalli, traini di artiglierie si trovassero a passare per Pievepelago. I ripetuti saccheggi aggiunsero miseria alla miseria. La coscrizione obbligatoria imposta da Napoleone aveva provocato un vivo malcontento nei giovani. In questa situazione era nato il brigantaggio.

I briganti erano i disertori e i renitenti alla leva, ma si facevano chiamare patrioti. Erano organizzati in bande armate, avevano i loro capi, vivevano in casolari sperduti nei boschi. A Pievepelago comparvero più volte, per uccidere due dragoni in un’imboscata presso il ponte della Pozzaccia, per invadere la ricevitoria della Finanza e asportare sale, tabacchi, denari e generi alimentari, per appiccare il fuoco nell’ archivio comunale, per estorcere denaro alla popolazione, per ingaggiare un conflitto a fuoco in tutte le regole con i soldati francesi in località Casalino, scaramuccia che durò due ore e si concluse senza morti e senza feriti.

Questi briganti-patrioti visti a Pievepelago erano duecento ed erano comandati da Luigi Reggi di Palagano.

Erano anni tristi. Napoleone era stato sconfitto, la Restaurazione trionfava, a Modena era tornato il duca, l’antica miseria era rimasta. Nel 1815, il 1816, il 1817 furono anni di terribile carestia. Il frumento arrivò a costare trecento lire modenesi al sacco; il granoturco duecentocinquanta. Si mangiava pane di mistura, vi si impastavano ghiande macinate e semola. Si arrivò a mangiare l’erba dei prati.

La denutrizione favorì lo sviluppo del tifo che imperversò lungamente. Intere famiglie morirono. Nel 1836 si manifestò il colera che grazie alle sagge misure preventive non provocò morti. Nel 1855 il colera rispuntò e questa volta nel Pelago i casi furono 110 e i morti 64. A Pievepelago si contarono soltanto tre morti.

Erano gli anni delle guerre di indipendenza nazionale. Già nella primavera del 1848 da Pievepelago erano passati gli studenti toscani avviati verso i campi di battaglia di Curtatone e Montanara; in seguito arrivarono i militi della Guardia Civica napoleonica che si abbandonarono ad atti di teppismo. Anche nel pelago gli entusiasmi erano rientrati. Gli eventi precipitarono nell’agosto, quando, avvicinandosi le truppe austriache, i duemila soldati piemontesi a presidio di Modena si avviarono per la via Giardini e l’8 agosto giunsero a Pievepelago. Fra essi si trovava il generale Girolamo Ramorino.

Nel 1859 fu portata a compimento la strada che da Pievepelago, per il Passo delle Radici, conduce a Castelnuovo Garfagnana, e fu l’ultima opera del governo estense. In primavera c’era già la guerra e un corpo di soldati francesi sbarcò a Livorno. Il duca Francesco V, per ostacolare la loro avanzata, ordinò che fossero demoliti i ponti della Pozzaccia e del Tavernaro. L’11 giugno 1859, l’indomani della battaglia di Magenta, Francesco V alla testa del suo piccolo esercito abbandonava Modena per seguire la corte e il destino dell’imperatore Francesco Giuseppe.

Tre giorni dopo, la mattina del 14 giugno, 4200 soldati francesi giungevano a Pievepelago, accolti da una manifestazione di vivo entusiasmo; l’indomani proseguirono per la via delle Radici, avviati verso il passo della Cisa e i campi di battaglia della Lombardia.

Negli anni che seguirono l’unificazione d’Italia, nel Pelago come altrove, il primo entusiasmo lasciò il posto a un evidente malcontento. Le tasse vennero ritenute eccessive; la coscrizione obbligatoria un provvedimento impopolare; si registrarono vari casi di diserzione. Nel 1864 si arrivò a sciogliere d’autorità, con decreto reale, il Consiglio municipale di Pievepelago che fu sostituito da un delegato straordinario. Questo per “gravi motivi” che erano due: la Giunta Municipale non aveva celebrato la festa dello Statuto e poi aveva partecipato ufficialmente alla processione del Corpus Domini.

Erano gli anni della miseria e molti disoccupati furono costretti ad emigrare, chi in Toscana, chi in Sardegna per impiegarsi in lavori stagionali, altri fino in Siberia e in Abissinia a lavorare alla costruzione di ferrovie. Senegal, Australia, e Sudafrica furono altre destinazioni.

All’inizio del nuovo secolo, numerosi pievaroli si recarono negli Stati Uniti d’America, in particolare nei centri di Highwood ed Highland Park. Negli anni a cavallo di due secoli si ebbe un risveglio delle attività culturali. Vennero fondati un gabinetto di lettura, una società filodrammatica, una società filarmonica, fu costruita la nuova scuola elementare, si presero a stampare diverse pubblicazioni: “Lo Scoltenna”, “Il Montanaro”, “Il Fischietto”.

Nel 1902 l’epidemia detta “la spagnola” provocò a Pievepelago 18 morti che vennero seppelliti senza il suono delle campane per non allarmare la popolazione.

Subito dopo le campane suonarono a festa per celebrare la fine della prima guerra mondiale, i cui caduti furono ricordati col bel monumento di Giuseppe Graziosi inaugurato nel 1925.

Il terremoto del 7 settembre 1920 provocò gravi lesioni a molte case, il crollo dei vecchi muri e di comignoli, uno dei quali colpì una donna che rimase uccisa.

Durante l’ultima guerra mondiale il paese, importante nodo stradale, fu presidiato dai soldati tedeschi. I partigiani non erano lontani. Nell’estate del 1944 la repubblica di Montefiorino occupava un vasto territorio del Frignano che arrivava fino a S.Annapelago. Il 24 giugno, in località Cerreta, un soldato tedesco fu ucciso. I militi della “Feldgendarmerie” eseguivano una spedizione punitiva su Piandelagotti. Vi incendiarono case, uccisero cinque civili tra cui un ragazzo dodicenne e arrestarono una trentina di uomini. Tra questi furono scelti quattro giovani, processati, riconosciuti partigiani e condannati a morte. La mattina del 30 giugno furono portati alla Cerreta, nel punto dove il soldato tedesco era stato ucciso, ed impiccati. I loro corpi restarono appesi alla forca per tre giorni. Oggi un cippo ricorda l’episodio. Gli altri arrestati vennero deportati in Germania.

Il 30 luglio iniziò l’attacco dei soldati tedeschi alla Repubblica di Montefiorino. Da Pievepelago partirono numerosi autocarri carichi di soldati e automezzi che trainavano pezzi di artiglieria. A Sant’Annapelago i tedeschi fucilarono due civili e tre partigiani. In seguito le truppe del Wehrmacht iniziarono la loro avanzata nella valle del Dragone incendiando paesi, deportando uomini e capi di bestiame, uccidendo civili e partigiani.

La sera del 31 luglio Pievepelago venne bombardata da aerei angloamericani, ma non si registrarono vittime. I ponti presi di mira dalle bombe non furono colpiti.

Il 2 agosto il paese fu invaso  dai soldati tedeschi che arrestarono una sessantina di uomini e li deportarono in Germania. Nell’autunno ’44 il fronte non era lontano. Dall’Abetone giungevano soldati in ritirata. Quattro batterie della contraerea furono sistemate a Sant’Andreapelago, a Roccapelago ed a Modino. Un apparecchio americano fu abbattuto ed il pilota fu ritrovato morto presso Roccapelago.

In dicembre, sull’Alpe di Sant’Anna, cinque donne che tentavano di attraversare il fronte furono uccise da un sergente tedesco. Il 1° gennaio 1945 le quattro batterie della contraerea furono smontate e trasferite altrove. Il 22 gennaio Pievepelago fu bombardato e mitragliato; due civili vi restarono uccisi.

Ormai il paese era deserto. I più erano sfollati nei casolari dei dintorni. Il 12 marzo si ebbe un altro bombardamento aereo; molti edifici furono danneggiati; due persone, un civile ed un soldato tedesco, vi trovarono la morte. Gli uffici pubblici furono sfollati. La notte tra il 19 ed il 20 aprile le truppe della Wehrmatch si ritirarono dall’Abetone con carri recanti armi e bagagli trainati da cavalli, da muli, da buoi.

All’alba del 20 fu fatta saltare la centrale elettrica del Sagradino. Alla sera riprese il passaggio dei soldati in ritirata. I civili nascosti nelle cantine attendevano la fine della ritirata ed il temuto crollo dei sette ponti del Pelago, tutti minati. Questo non avvenne perché i pionieri tedeschi incaricati di fare brillare le mine disertarono e si rifugiarono in case del paese.

Il mattino del 21 aprile Pievepelago fu occupata dai partigiani della Brigata Italia. Dalle finestre sventolavano bandiere tricolori. Nelle prime ore del pomeriggio soldati statunitensi e brasiliani giunsero in paese sparando in aria, accolti da applausi della popolazione festante.

Gli anni del dopoguerra furono all’insegna della miseria e della disoccupazione. Aiuti vennero dai paesani emigrati. In seguito le condizioni economiche migliorarono sensibilmente, il paese fu tra i primi dell’Appennino ad inserirsi nel settore turistico, realizzando notevoli attrezzature sportive e complessi ricettivi. Il presente del Pelago è ancora legato al turismo, ai suoi problemi e alle sue prospettive future.

 

*** Questa storia di Pievepelago è stata tratta da un progetto di “Guida Turistica Provinciale” a cura di Giancarlo Silingardi, Ciro Santagata e Franco Minelli. Continuiamo a pubblicare le note storiche, culturali e tradizionali di Pievepelago descritte nell’inedita “Guida Turistica Provinciale” curata per la Provincia di Modena da G. Silingardi, C. Santagata e F. Minelli. In questo numero compiamo una breve escursione tra i monumenti della nostra vallata***.    

 

                                NOTE D’ARTE DI PIEVEPELAGO

 

La Chiesa plebana di Santa Maria Assunta di Pievepelago è di antica denominazione. La prima citazione certa è del 1038, ma certamente doveva esistere in epoca precedente, assai remota, probabilmente in età longobarda. Nel Medioevo fu chiesa battesimale, matrice; ebbe numerose chiese filiali.

Doveva trovarsi non lontano dalla attuale. Fu più volte rifatta; l’ultima dal 1868 al 1874, per volere dell’arciprete don Giovanni Gimorri su disegno dell’architetto Cesare Costa, pievarolo. Sorse in posizione elevata; la facciata è semplice: ha un finestrone rotondo e un portale imponente.

Nell’interno sei pilastri di ordine dorico. Ricca decorazione. Nell’interno della facciata, l’organo della ditta Balbiani, del 1913; sotto l’organo due quadri del pittore modenese Gaetano Bellei raffiguranti san Francesco d’Assisi e l’Immacolata Concezione, ambedue datati 1918.

A destra, l’altare di San Luigi Gonzaga, con statua del Santo. La grande cappella di santa Maria Assunta, patrona della parrocchia, ha un altare ricco di marmi; la statua dell’Assunta è opera di Giovanni Graziani di Faenza. La grande pittura ad olio della volta, l’incoronazione della Vergine, è del pittore tedesco Dworschack, che villeggiava alle Mandriole presso Fiumalbo.

Nell’andito che conduce alla porta laterale, un olio, san Teodoro (protettore di Pievepelago), sant’Anna, Maria bambina e il committente don Luigi Mucci, di pittore modenese del 1876, e un bassorilievo in gesso, la Madonna della pace del prof Luigi Galli, pievarolo, del 1949, originale della copia in marmo che si trova sulla facciata dell’oratorio di Monticello.

Sotto il bassorilievo, la porta che immette nel campanile, alto 45 metri, rifatto dopo il terremoto del 1920 su progetto del prof. Paolo Mordini.

Sempre a destra, la grotta della Madonna di Lourdes, eretta nel 1958; le statue dell’Immacolata concezione e di santa Bernardetta sono di Giovanni Graziani da Faenza; sopra, la decollazione di San Giovanni Battista, dipinto di scuola toscana della fine del XVI secolo.

Il pulpito, in scagliola policroma, è del modenese Gaetano Venturi, del 1879. Al centro dell’abside, un quadro ad olio raffigurante l’Assunta tra testine di Cherubuni è opera di pittore modenese scolaro di Carlo Ricci, del primo secolo XVIII. Sull’altare maggiore (in marmo, opera del marmista Fortini di Pisa) è il Crocefisso in bronzo, del prof. Luigi Galli, del1961. Il coro in noce fu costruito nel 1938, su disegno del prof. Paolo Mordini. A sinistra, l’altare di sant’Antonio da Padova, la Madonna bizantina in mosaico fu donata da un soldato pievarolo che l’aveva portata dalla Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale.

Il fonte battesimale in marmo di Carrara, è opera toscana di valore dell’inizio del secolo XVI. L’artistica urna con le spoglie di san Teodoro, opera dell’orafo Gaetano Boccini di Firenze, è del 1820. Sull’altare della Madonna Addolorata, la statua dell’Addolorata in legno della Val Gardena dell’artigiano Obletter di Ortisei, del 1964.

Nella sagrestia si conservano diverse tele, santa Filomena di Adeodato Malatesta del 1840, san Teodoro martire di allievo del Malatesta, san Luigi Gonzaga di Luigi Asioli del 1853, san Giuseppe col Bambino Gesù, san Carlo Borromeo, santa Lucia, san Filippo Neri (di pittore emiliano dell’ultimo XVII secolo), un reliquiario in argento settecentesco ed una statuetta della Madonna Assunta in argento del romano Giuseppe Borroni, del 1775.

L’Oratorio dei Bianchi è così detto dal nome della confraternita che l’officiò; fu eretto nell’ultimo Ottocento col contributo dell’imperatrice d’Austria Maria Anna Carolina Pia, di passaggio da Pievepelago nel 1851.

L’Oratorio dei Rossi, altro nome derivante da una confraternita, fu costruito nel 1754 ed è accanto alla Chiesa parrocchiale. Attualmente è chiuso al culto ed adibito ad obitorio.

Il Palazzo Fontanelli fu fatto costruire dal generale Achille Fontanelli, ministro della Guerra del Regno d’Italia del primo Ottocento; qui il generale Fontanelli e il figlio Camillo, senatore del Regno, trascorsero diverse villeggiature.

 

In via Tamburù, si trova la Direttoria, sede della direzione dei lavori della via Giardini, dove vide la nascita l’architetto Cesare Costa nel 1801, il breve duplice soggiorno di Papa Pio VII, ospitò il patriota Pietro Giannone e il commediografo Paolo Ferrari. Oggi l’edificio, ristrutturato, ospita la sede municipale di Pievepelago.

 

All’ingresso del paese, giungendo da Modena, si nota la breve strada laterale detta il Borghetto, dove si possono vedere ancora alcune delle più antiche case del paese, col balchio (ballatoio in legno) e la porta con l’architrave scolpito a ramo e foglie di castagno che incorniciano uno stemma di famiglia.

 

Presso l’abitato, di fronte alla Chiesa del capoluogo, sorge il Mulino di Domma, nome derivante da un antico proprietario, con un’iscrizione datata 1586. Ristrutturata la parte abitativa è rimasta, è rimasta pressoché intatta e funzionante la parte del mulino ad acqua.

 

Il Monumento ai caduti, nel capoluogo, è opera di Giuseppe Graziosi, del 1925, è una statua in bronzo: raffigura un fante in elmetto, mantellina, impugnante il moschetto. Una lapide in rame riporta il “bollettino della vittoria” nella Grande Guerra. Le lapidi laterali ricordano i nomi dei caduti pievaroli nelle due Guerre Mondiali.

 

Nei dintorni di Pievepelago si trovano cinque bei ponti: il Ponte Rosso, per chi proviene da Barigazzo; il Ponte Elena per chi proviene da Riolunato; il Ponte Battistella da S.Annapelago; il Ponte Modino da Fiumalbo. A un chilometro da Pievepelago, sulla strada per Riolunato, si trova il Ponte della Fola, detto anche della Fola di Sotto per distinguerlo dal ponte della Fola di Sopra, presso Fiumalbo, detto anche Ponte del Diavolo. Anche il ponte della Fola ha la sua leggenda con il diavolo, che lo avrebbe costruito in una sola notte di tregenda. In realtà si tratta di un manufatto dell’Alto Medioevo, citato a partire dal 1038. Faceva parte dell’antica strada che collegava Fiumalbo con Riolunato. E’ a schiena d’asino con due archi irregolari, a tutto sesto, sotto cui scorre il torrente Scoltenna.

 

Ad un chilometro da Pievepelago, sulla via Giardini, sorge L’Oratorio di Modino. In questa località, detta Modino dal monte sovrastante, nel Medioevo si trovava certamente un fortilizio, lo testimonierebbe anche il nome di un’altra vicina località: Chiusura. L’oratorio, seicentesco, fu rifatto nell’ultimo Ottocento, su disegno di Cesare Costa. In un’ancona di legno intagliato, della prima metà del secolo XVII, si può vedere un affresco raffigurante la Madonna col Bambino, detta degli Arenacci; è adorna di collane, di gioielli e di ex-voto; si tratta di opera cinquecentesca.

 

Dalla via delle Radici, in località Cadagnolo, si stacca un sentiero che in meno di mezzo chilometro conduce al piccolo Santuario di Monticello; sino a pochi anni fa era questa l’unica via di accesso all’oratorio, ora lo si può raggiungere anche con una strada carrozzabile che si stacca dalla strada comunale per il Lago Santo. Monticello si trova in mezzo ad una faggeta su un poggio del monte Nuda, che domina la vallata del rio Perticara.

Sulla sua origine si raccontano diverse leggente. Un giorno un pastorello smarrì una pecora del suo gregge; salì su un faggio, sperando di scorgerla dall’alto, ma precipitò. Cadendo, invocò la Madonna e si trovo a terra illeso. Allora sull’albero fu posta una tavoletta votiva con l’immagine della Vergine.

Una notte una donna s’imbatté a passare per il sentiero. Udì l’ululato di un lupo e vide due occhi rossi che le venivano incontro, invocò la Madonna e dall’immagine sacra uscì una luce rutilante che fece fuggire la belva nel buio.

Un’altra leggenda parla di un malfattore che spezzò la tavoletta e ne gettò i frammenti del rio sant’Anna. L’indomani l’effige era al suo posto, intatta. Per metterla al sicuro si costruì una cappella, una “maestadina” per dirla nella parlata locale.

Nel 1848, nei pressi, si innalzò un oratorio che venne inaugurato il 19 agosto 1849. Nel 1857 si fece il porticato che doveva servire a ricovero dei pellegrini. Nel 1859 la sagrestia. Nel 1881 la casa d’abitazione del custode. Nel 1930 il campanile. Il 6 maggio 1945 i parrocchiani di Pievepelago si ritirarono qui per ringraziare la Madonna per aver preservato il paese dalla distruzione durante la guerra e promisero di ampliare l’oratorio, il che fu fatto, raccogliendo le offerte soprattutto tra i pievaroli emigrati negli Stati Uniti d’America. La spesa fu di £ 1.200,000. Il corpo dell’edificio fu ingrandito, la facciata avanzata e rifatta. Il disegno della porta e delle monofore fu eseguito dal prof Luigi Galli di Pievepelago, al quale si deve anche il bassorilievo in marmo raffigurante la Madonna della Pace. L’inaugurazione si ebbe il 19 agosto 1949.

Nel 1982 l’oratorio è stato ulteriormente restaurato ed abbellito.

 

Interamente interessante è la località Chiusura, nelle vicinanze di ponte Modino, la borgata certamente più antica del Pelago. Qui si trova un’edicola (cappelletta) datata 1660 che reca una allocuzione alla Madonna e due croci iscritte in una cordonatura, con il monogramma di Cristo.

 

Nello scorso numero sono stati descritti i monumenti delle frazioni del Pelago, la ROCCA, le CHIESE PARROCCHIALI, la casa di CECCARDO e la fontana del Baronio, la torre di S.ANDREA  e le “capanne celtiche” di Casoni.

 

                        PASSAGGI CELEBRI

 

 

 

Numerosi passaggi di personaggi illustri per Pievepelago. Il 18 gennaio 1438, reduce da Ferrara e diretto a Firenze per il Concilio, sostò il papa Eugenio IV, con uno stuolo di cardinali, arcivescovi ed il meglio della nobiltà modenese e ferrarese. Dopo l’apertura della via Giardini, i passaggi celebri non si contarono più… Nel 1775 l’imperatore Giuseppe II sosta nell’albergo della Posta e lascia all’arciprete un gruzzolo di zecchini per i poveri del paese. Nel 1796 passò Napoleone, ancora generale. Nel 1804 e 1815 transita Papa Pio VII che benedice la folla dalla “Direttoria” in via Tamburù. Nel 1821 passa il re di Sardegna Carlo Felice, nel 1838 Massimo d’Azeglio, nel 1848 i volontari toscani avviati ai campi di battaglia di Curtatone e Montanara, tra loro il filologo Pietro Fanfani ed il filosofo Augusto Conti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                   

 

                                     LE FRAZIONI DEL PELAGO

 

Nello scorso numero abbiamo presentato la storia di Pievepelago desunta dalla “Guida turistica provinciale”, ancora inedita, a cura di G. Silingardi, C. Santagata e F.Minelli. Dalla stessa opera abbiamo tratto le note storiche ed artistiche riguardanti Roccapelago, Sant’Andreapelago, Sant’Annapelago e Tagliole.

 

 

                                                          
                                                    

                                   ROCCAPELAGO

 

A 4 km da Pievepelago, a quota m. 1095, ai piedi del monte Rocca (alto m. 1442), tra pinete ed abetine, sorge l’antico borgo di Roccapelago. Il rinvenimento di due punte di freccia in selce ha fatto congetturare della presenza sul posto di un castelliere dell’età del bronzo.

La prima notizia certa è del 1025 e parla dell’ assoggettamento del comune di Roccapelago a quello di Modena. Il borgo fu, dunque, sede di comune ed ebbe un forte castello più volte citato, “Castrum Pelagi”, punto chiave della difesa dell’intera vallata del Pelago. All’inizio del secolo XVI fu occupato dagli Estensi che ne investirono i Montegarullo. Nel 1393 fu assediato ed espugnato dai Lucchesi. Nel 1396 Obizzo da Montegarullo, alleatosi con Lancillotto Montecuccoli, con una mano di armati lo rioccupò di sorpresa. Nel 1403 Uguccione Contrari, alla testa di un piccolo esercito, lo strappò ai seguaci di Obizzo da Montegarullo, ribelle al marchese Nicolò III di Ferrara e lo restituì agli Estensi. Allora Roccapelago fu aggregata alla provincia di Sestola.

La località vide altre scaramucce, nel 1420 e nel 1457, per incidenti di confine con gli abitanti di Barga per il possesso di pascoli, nel 1579 e nel 1590, per dissidi con gli uomini di Frassinoro per la Selva Romanesca.

 

Una rampa lastricata conduce alla chiesa parrocchiale di San Paolo, sorta tra il 1586 ed il 1604 sulle rovine del castello, restaurata nel 1728, ingrandita nel 1868, rifatta nel 1925. La sua forma di aula ha dato origine alla credenza che essa occupi la sala d’armi dell’antico castello.

Nel 1728 vi fu fatto un bel soffitto in legno d’abete intarsiato, con cinque figure, san Paolo e quattro angeli; nel rifacimento del 1925 questo soffitto fu sostituito da un altro, di minor valore artistico; le cinque figure si conservarono in una stanza. La chiesa ha sette altari, tutti con ancone in legno, pregevoli lavori artigianali. A destra, la Madonna del Carmine di pittore bolognese del secolo XVII; la Madonna della Neve, del secolo XVI; il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, del secolo XVIII; san Francesco d’Assisi, sant’Antonio abate, san Giovanni evangelista, tela datata 1626, attribuita alla scuola dei Carracci di Bologna. Notevole il tabernacolo sull’altare maggiore in legno dorato, con torretta e nicchie, del 1603. L’organo è di Domenico Traeri, del 1722. A sinistra, Maria Vergine, sant’Antonio da Padova, san Lorenzo, san Carlo Borromeo, di pittore bolognese del secolo XVIII; san Rocco, compatrono della parrocchia e san Pellegrino, tela attribuita al fiammingo Dionigi Calvaert , del secolo XVI; Maria Vergine col Bambino, san Domenico, santa Caterina da Siena e intorno i quindici misteri del Rosario, opera datata 1626, attribuita alla scuola dei Carracci.

 

 

 

 

 

 

                                   SANT’ANNAPELAGO

 

A 8 km da Pievepelago, sulla strada del Passo delle Radici, si trova la frazione di Sant’Annapelago. La borgata ha origini non remote che si possono datare al tardo Cinquecento. Verso la fine del secolo XVI, infatti, alcuni coloni e pastori di Roccapelago si stabilirono con le loro famiglie nel luogo dove si trova l’antico ospizio di San Leonardo del Perticara, citato nel 1200, e qui eressero nuove case, dette i Casoni. Più tardi ad essi si unirono alcune famiglie provenienti dalla Garfagnana. Erano agricoltori, pastori, taglialegna e segantini.

Nel 1638, essendo ormai in rovina la cappella dell’oratorio di San Lorenzo, si costruì una nuova chiesa e la si dedicò a Sant’Anna. Da allora l’abitato, prima detto Casoni, mutò nome e diventò Sant’Annapelago.

Dopo l’autonomia religiosa, la frazione conquistò anche l’autonomia amministrativa. Questo avvenne nel 1667 col distacco da Roccapelago e con la costituzione in comune. L’avvenimento causò numerose risse per questioni di confine tra gli abitanti di Sant’Anna e quelli di Roccapelago, che si protrassero per buona parte del secolo XVIII.

Il colera del 1855 vi procurò 20 morti. La frana del 1896 distrusse la maggior parte delle case del paese che in seguito furono rifatte. Il terremoto del 1920 provocò il crollo di altre case, anch’esse ricostruite.

La chiesa parrocchiale di Sant’Anna fu costruita nel 1637 da un capomastro milanese. Nel 1896, a causa della frana sopra menzionata, crollò; fu rifatta a opera del parroco mons. Luigi Santi, nel 1900. Nel 1920 fu lesionata dal terremoto; nel 1922 fu restaurata, sempre per volontà di Mons. Santi. E’ una chiesa di buone proporzioni, ma ha ben poco di notevole. I confessionali e gli stalli del coro sono opera settecentesca dei fratelli Corsini di Canevare. Il quadro I martiri dell’Uganda fu donato dal papa Benedetto XV.

Notevole è lo sviluppo turistico, particolarmente durante la stagione invernale, che sta assumendo questa località, dove,  ricordiamo, si svolsero prove dei Campionati Italiani assoluti di sci nel 1968 e dove si esibirono gli olimpionici italiani reduci dai successi di Grenoble.    

   

                                           TAGLIOLE

 

Sulla strada del Lago Santo s’incontra la borgata detta Le Tagliole. L’etimologia di questo toponimo è controversa: sono state formulate ben quattro ipotesi.

La prima ricorda i tagli di boschi qui effettuati fino da epoca remota. La seconda le taglie poste sulla testa dei banditi che si rifugiavano in questi boschi, spesso inaccessibili. La terza le tagliole che si ponevano per intrappolare la selvaggina. La quarta, più credibile, si rifà al latino “tardae”, pini, abeti.

E’ certo che l’origine dell’abitato è abbastanza recente. I primi abitanti dovettero essere boscaioli, cacciatori, pastori. La prima citazione è del 1613 e parla dell’invasione di militi lucchesi che qui incendiarono alcune case. Nel 1785 una frana staccatasi dal monte Nuda abbatté case, mulini e sconvolse terreni.

La chiesa parrocchiale della Natività di Maria Vergine sorse nel 1637 al posto di un modesto oratorio intitolato a san Giovanni Battista. Fu ricostruita e ampliata nel 1870. In sagrestia si conserva un dipinto ovale raffigurante la madonna, di pittore toscano del XV.

La località vive oggi di un certo afflusso turistico grazie alla vicinanza dell’incantevole Lago Santo modenese e di una zona paesaggisticamente notevole.

 

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creato:giovedì 2 gennaio 2020
modificato:venerdì 3 gennaio 2020